Artificiale per natura
Testo mostra "Mangiare Il Bene" a cura di Nikla Cingolani: Showroom Elica - Fuori Expo, Milano; Mole Vanvitelliana, Ancona; Sede Museale Palazzo Bisaccioni, Jesi - di Nikla Cingolani
“La biotecnologia promette di essere la più grande rivoluzione nella storia dell’uomo. Entro la fine di questo decennio avrà di gran lunga sorpassato l’energia nucleare e i computer per quanto riguarda l’impatto sulla nostra vita quotidiana.”
Michael Crichton
L’originale pittura di Giulia Corradetti, pur mantenendo solide radici figurative, ci invita ad entrare nel mistero di una natura immaginaria e soggettiva carica di atmosfera. In quest’opera ogni elemento è assemblato in modo esclusivo e sorprendente, in connessione con un immaginario estraneo ad ogni luogo comune. Il linguaggio, armonioso e ironico, è il risultato di una personalissima sintesi tra pittura, grafica e installazione. Davanti all’immagine costruita in modo impeccabile, nonostante il tocco di leggerezza dato dai piccoli e tondi frutti che galleggiano nello spazio, si avvertono attrazione e disagio. Se da una parte seduce l’esecuzione controllata e precisa di ogni dettaglio, dove l’intervento della mano è praticamente invisibile tanto da sembrare un prodotto realizzato interamente da un macchinario, dall’altra imbarazzano i soggetti ritratti per il loro essere riconoscibili ma in qualche modo estranei. La rappresentazione di questo “giardino incantato” sovrailluminto e iperasettico, rinvia ad una possibile futura evoluzione di ciò che oggi chiamiamo colture idroponiche, ovvero le colture fuori suolo, dove le piante crescono senza terra. Non è un concetto nuovo se pensiamo che i Giardini pensili di Babilonia rappresentino il primo esempio conosciuto di questa coltura. Tuttavia l’agricoltura da laboratorio che ci propone l’artista sembra più che altro il frutto di sperimentazioni biotecnologiche. Con l’ingegneria genetica è possibile modificare l’identità di un organismo attraverso la manipolazione del DNA o inserendo molecole cosiddette “ricombinanti” all’interno di cellule di altri organismi. Le alterazioni genetiche, applicate all’agricoltura e alla produzione alimentare, permettono di riprodurre in laboratorio nuove forme viventi conosciuti come alimenti transgenici, o meglio chiamati OGM, Organismi Geneticamente Modificati. L’opera di Giulia Corradetti raffigura delle verdure, un alimento primario dell’alimentazione, sostenute e combinate con strutture geometriche bianchissime che nulla hanno a che fare con il mondo vivente. L’inserimento di geni appartenenti ad un altro regno, quello sintetico, ha modificato la loro identità originale creando nuovi incroci. La zucca in primo piano con un peduncolo bianco, una verza con una sfera al posto delle foglie e il calice di un peperone a forma di presa elettrica, ne sono gli esempi.
A questo punto entrano in causa riflessioni che superano la sola problematica alimentare e aprono a nuovi quesiti. Ci si chiede se la controversia “naturale vs artificiale” abbia ancora senso. E ancora: che cosa vuol dire artificiale? E’ “qualcosa fatto dall’uomo” oppure è “qualcosa di non naturale”? La concezione dell’artificiale, come categoria che descrive tout court ogni cosa costruita dall’uomo, non è sufficiente a stabilire il confine tra mondo naturale, di cui si riconosce la diversità rispetto ai costrutti umani e l’insieme delle cose poste in essere dall’uomo con la sua attività di manipolazione di strutture o processi che egli trova disponibili attorno a sé e di cui, magari con grande fatica in termini di ricerca, riesce a catturare le “regolarità” sulle quali, poi, fondare la propria azione. (1)
Come si deduce dalle immagini, definire artificiale qualcosa che si contrappone al naturale, non è propriamente esatto. Sembra invece che l’artificiale sia unito alla natura con una sorta di funicolo vitale e non può esistere senza qualcosa di naturale cui esso si riferisca o che cerchi di riprodurre.
Se un giorno gli orti saranno così, l’immagine del bucolico contadino con camicia a quadretti e cappello di paglia sarà solo un ricordo. L’avanzato livello tecnologico all’interno di quest’ambiente serra/laboratorio, porta a immaginare coltivatori in camice bianco con guanti di lattice e mascherina, con bisturi in mano invece della zappa, che usano i tapis roulan invece dei trattori.
Vedere un cocomero con la coda flessibile di fibra gommosa, oppure una verza all’interno di uno schermo, è curioso ma allarmante. Ci consola, nonostante il pallido aspetto, la chiocciola con il suo andare lento e prudente. Simbolo di attenzione, di a-crescita (2), dotata di una naturale saggezza (3), è un modello di vita sostenibile e con le sue antenne pronte a captare qualsiasi segnale, rappresenta una vigile sentinella che ci rassicura sul nostro futuro.
1) Massimo Negrotti (“Artificiale. La riproduzione della natura e le sue leggi”. Laterza 2000)
2) “La decrescita non è la crescita negativa. Sarebbe meglio parlare di “acrescita”, così come si parla di ateismo. D’altra parte, si tratta proprio dell’abbandono di una fede o di una religione (quella dell’economia, del progresso e dello sviluppo). Se è ormai riconosciuto che il perseguimento indefinito della crescita è incompatibile con un pianeta finito, le conseguenze (produrre meno e consumare meno) sono invece ben lungi dall’essere accettate. Ma se non vi sarà un’inversione di rotta, ci attende una catastrofe ecologica e umana. Siamo ancora in tempo per immaginare, serenamente, un sistema basato su un’altra logica: quella di una “società di decrescita”. Serge Latouche, Breve trattato sulla decrescita serena, Ed. Bollati Boringhieri, 2008.
3) Ibidem, La saggezza della lumaca, “La lumaca – ci spiega Ivan Illich – costruisce la delicata architettura del suo guscio aggiungendo una dopo l’altra delle spire sempre più larghe, poi smette bruscamente e comincia a creare delle circonvoluzioni stavolta decrescenti. Una sola spira più larga darebbe al guscio una dimensione sedici volte più grande. Invece di contribuire al benessere dell’animale, lo graverebbe di un peso eccessivo. A quel punto, qualsiasi aumento della sua produttività servirebbe unicamente a rimediare alle difficoltà create da una dimensione del guscio superiore ai limiti fissati dalla sua finalità. Superato il punto limite dell’ingrandimento delle spire, i problemi della crescita eccessiva si moltiplicano in progressione geometrica, mentre la capacità biologica della lumaca può seguire soltanto, nel migliore dei casi, una progressione aritmetica”.