Giulia Corradetti e l’universo: da poesia enigmatica a natura artificiale.
Articolo "Piceno 33" - di Valentina Falcioni
Giulia Corradetti è un’artista ascolana nata nel 1982, una donna perspicace, dotata di profonde capacità introspettive e allo stesso tempo un’acuta indagatrice dell’universo che da poesia enigmatica col tempo si è trasformato in un motivetto scialbo, tappezzato da una deprimente natura sintetica, artificiale. Giulia ha sentito crescere la sua propensione per l’arte visiva fra i banchi di scuola e ha visto maturare il proprio linguaggio espressivo assieme a una personale cifra stilistica lungo il percorso formativo completato presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna e ovviamente attraverso l’edificante scorrere della vita nel maestoso labirinto dello spirito visibile.
La prima volta che ho lasciato scorrere gli occhi sulle opere della Corradetti, ho ripensato a una battuta de Il gatto nero di Alphonse Allais: “Dio non ha creato alimenti blu. Ha voluto riservare l’azzurro per il cielo e gli occhi di alcune donne”. L’attenzione dell’artista ascolana nei confronti della natura che colma generosamente il primo bisogno dell’uomo, vuole guidare l’osservatore verso una riflessione che negli ultimi anni ha coinvolto ricercatori e opinione pubblica. Il cibo nel corso dei secoli è stato oggetto di interesse da parte degli etnoantropologi, in quanto non è soltanto un mero mezzo di sopravvivenza, bensì un valido metro di giudizio e comprensione del progresso umano. Analizzare la storia evolutiva dell’alimentazione, infatti, offre la possibilità di comprendere appieno il rapporto intrinseco fra una determinata popolazione e il proprio territorio, fra un paese e i fattori economici, socioculturali ed epidemiologici che ne definiscono il grado di benessere.
Il contrasto fra la genuinità dei prodotti agroalimentari coltivati secondo tecniche tradizionali e l’artificiosità di quegli organismi geneticamente manipolati che possono sviluppare effetti irreversibili sugli ecosistemi, è immediatamente ravvisabile nel netto contrasto fra i colori brillanti e rigogliosi degli ortaggi e il bianco asettico di quei cubi presenti nelle opere di Giulia Corradetti che vogliono alludere ai dispositivi di una tecnologia ormai invasiva. La storia evolutiva dell’alimentazione è perfettamente in grado di tratteggiare il percorso antropologico-culturale di un popolo e i lavori che appartengono al ciclo Artficial Nature ci offrono un affresco veritiero e disarmante della società contemporanea. La collettività sembra aver dimenticato la saggezza dei padri, il rispetto verso la spontaneità della natura e la sapienza ravvisabile nelle parole di Ippocrate: “Lasciate che il cibo sia la vostra medicina e la vostra medicina sia il cibo”.
Un elemento che sembra spiccare sulle altre entità spurie nell’opera Artificial Nature #12, esposta anche a Milano nella collettiva Mangiare il Bene a cura di Nikla Cingolani, è indubbiamente la chiocciola che simboleggia il percorso lento e graduale dell’universo naturale verso una prosperità rigeneratrice. La voluta incisa nel suo guscio ricorda la serie numerica di Fibonacci e sin dall’antichità allude a un cammino spiralato e flemmatico che conduce inevitabilmente a un obiettivo prolifico e durevole. Non a caso il termine latino lentus è sinonimo anche di tenacia, la stessa che guida un neonato alla scoperta del cibo che non è solo nutrimento ma piacere puro, atavico e istintivo. Quello che salta ai nostri occhi come un cosmo surreale, nel quale fiori dall’affascinante profilo antico sbucano da sfere galleggianti, piante arcaiche germinano da sterili scatole dotate di interruttori, anemoni, rose e pomodori di mare esplodono da schermi fluo e cangianti, in realtà echeggiano per antitesi le parole di Buddha Siddhārtha Gautama: “Come l’ape raccoglie il succo dei fiori senza danneggiarne colore e profumo, così il saggio dimori nel mondo”.