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Artificial Nature

Testo mostra "Artificial Nature", a cura di Mirella di Peco, Galleria Artsinergy, San Benedetto del Tronto / Roma - di Mirella Di Peco

Il titolo della mostra Artificial Nature indica i termini della ricerca artistica di Giulia Corradetti: da un lato la natura, che per le filosofie orientali “risveglia in noi il sentimento estetico, attenua le nostre tendenze aggressive, stimola l’ispirazione poetica, e in tal modo nutre il nostro cuore e la nostra mente” (Tsunesaburo Makiguchi), dall’altro le ipotesi di una sua ricreazione artificiale, oggi che le applicazioni dell’ingegneria genetica rendono possibili quelli che prima erano solo scenari futuribili.

Le opere presenti in mostra riproducono una post-natura: gli elementi organici sono contaminati con altri di derivazione artificiale e viceversa fino a generare un’unica visione, coerente nelle rispondenze estetiche tra i soggetti che la compongono. Immersi in una flora tra l’esotico ed il surreale, organismi variopinti interagiscono rispettando le leggi di un ecosistema posto sul confine sempre più labile tra natura ed artificio.

Con le biotecnologie l’uomo è in grado di progettare cambiamenti genetici senza aspettare che accadano spontaneamente in natura: il problema etico si pone non riguardo alla tecnologia ma al suo impiego. L’ecosistema rappresentato dall’artista esprime il valore positivo di una possibile mutazione genetica, ponendo in una prospettiva originale i temi dell’accettazione dell’alterità e della coesistenza pacifica tra gli esseri viventi.

Le Artificial Plant presentano una gamma cromatica brillante in un crescendo di sfumature che culmina nel monocromo del vaso. L’attenzione della Corradetti ai dettagli – dalle sfumature dei petali all’evidenza plastica dei germogli, fino alla costruzione scultorea delle composizioni floreali – genera piante in cui gli innesti artificiali sono fonte d’inesauribile stupore per chi le osserva. Le lumache presenti nelle Artificial Nature sono le sole esponenti della fauna a noi nota e con divertita complicità s’insinuano in una flora di colori brillanti su uno sfondo completamente bianco. Non resta che percorrere la linea narrativa del loro cammino e seguirle in una galassia di momenti ludici: torniamo bambini per un istante e cogliamo con freschezza sentimentale la segreta essenza delle cose.

La volontà di tradurre la realtà in immagini di ascendenza infantile è caratteristica delle opere surrealiste, ad esempio i quadri di Joan Mirò sono popolati da ogni sorta di creature ibride che giocano e danzano e presentano forme biomorfiche anziché geometriche. Le Artificial Nature rispondono alla medesima estetica organica, ma se nell’arte surrealista la messa in scena di una realtà parallela implica una lettura psicanalitica, nelle opere della Corradetti il riferimento è alla religione buddista che afferma la sacralità di ogni essere vivente.

L’artista lavora fotografando dettagli di fiori e piante e li rielabora in digitale con una cura dei particolari caratteristica della pittura: nelle Artificial Bubble forme organiche di varia foggia sembrano galleggiare sospese in una bolla liquida e lievi increspature iridescenti ne esaltano la consistenza tattile. Poiché la scelta della tecnica è determinata dal progetto artistico in altri lavori l’elaborazione fotografica è il punto di partenza per un intervento pittorico; una flessibilità che risale gli studi all’Accademia, durante i quali la ricerca sulla fotografia si affianca alla pratica fondamentale della pittura.

L’utilizzo della tecnologia digitale è una scelta che consente all’artista di esplorare la realtà con i medium caratteristici del XXI secolo, mentre a livello compositivo il riferimento è alla stage photography, che prevede l’allestimento di set dettagliati per realizzare gli scatti. Dagli anni ottanta s’iniziano ad applicare tecniche di manipolazione delle immagini e, dopo la stagione autoriflessiva e concettuale degli anni settanta, alcuni artisti si spingono ad esplorare universi costruiti e visionari, ad esempio Sandy Skoglund e Karin Andersen, alle quali Giulia Corradetti s’inspira. A livello formale, la nitidezza delle immagini delle Artificial Nature evoca i lavori di Oleg Dou, che ritocca digitalmente i volti delle persone fino a donargli pelle di porcellana e sembianze spettrali: seppur con poetiche distanti i due artisti raggiungono un simile risultato estetico di grande incisività ed eleganza.

Le immagini bidimensionali sono riportate in misura ambientale dall’installazione Artificial Nature, che rappresenta una loro dilatazione linguistica capace di riattivare lo spazio neutro della galleria. L’opera è composta di quattro cubi sovrapposti in forma di totem, struttura archetipica presente nelle culture umane fin dalla preistoria, che rappresenta il legame dell’uomo con la natura e le divinità.

Due cubi bianchi sono i generatori immaginari di una corrente-energia che alimenta due boccioli di semi affinché essi possano fiorire: Ia forza riproduttiva della natura rappresenta il potenziale creativo dell’arte, che dà forma concreta all’immaginazione senza i limiti imposti dalla biologia. I due cubi posti in alternanza ai cubi generatori presentano monitor con texture di elementi naturali, considerato il rischio che l’esperienza del mondo diventi solo virtuale.

In questa fase storica di transizione, che vede la fuoriuscita dal dato biologico e contemporaneamente l’avanzata di realtà virtuali, il dibattito teorico è condotto nelle arti visive da artisti e collettivi non riconducibili ad un solo movimento, che affrontano il tema della diversità delle specie ed immaginano forme di vita che non corrispondono ad alcun modello omologante. La ridefinizione dei canoni in campo artistico può avvenire attraverso l’ibridazione del corpo umano con elementi di altre specie (Patricia Piccinini), con altre forme naturali (Kiki Smith), attraverso la manipolazione genetica degli animali (Eduardo Kac) o mediante la creazione visionaria di nuovi mondi (Matthew Barney).

L’opera della Corradetti costituisce un contribuito originale alla ricerca, non perché ci trascina in un vortice di scenari post-human, ma bensì ci invita ad esplorare un universo attraente ed autosufficiente, tinto di gioia ed ironia, dove i valori sociali sono un inno al rispetto della diversità, alla comunione con la natura e alla sacralità della vita in qualsiasi forma essa si manifesti.

Mirella Di Peco